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Festa Madonna del Monte, storia Barabbata, Festa delle Passate - Marta (VT)
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Per il paese di Marta (VT) e i suoi abitanti la festa della Madonna Santissima del Monte, meglio conosciuta come "Festa delle Passate" o "Barabbata", è un giorno che non ha mai fine, il giorno più importante e sentito nella cittadina viterbese adagiata sulle rive del lago di Bolsena. Si tratta di una festa risalente almeno al 1557 ma alcune fonti storiche ci parlano di una tradizione ben più antica.
Pur celebrandosi ogni 14 maggio, nel paese è sempre vivo il pensiero e il ringraziamento alla Madonna del Monte come fosse la patrona del paese; ne sono un esempio: gli incontri mensili di preghiera e canto che organizza il parroco Don Roberto ogni 14 del mese al santuario; le ripetute fiaccolate che partono dal paese e arrivano in processione al Monte accompagnate da preghiere, canti e inni in nome della Vergine; le molteplici visite e pellegrinaggi che ospita il Santuario; i membri del Comitato Festeggiamenti sempre attivi per migliorare l'organizzazione della manifestazione; le molte persone che per passione e devozione offrono servizi di manutenzione o di restauro al Santuario e agli ambienti adiacenti; il non aver mai cambiato la data storica del 14 maggio per scopi turistici. Persino in caso di maltempo la festa non si ferma con i Passanti e i loro carri che transitano ugualmente sotto la pioggia o con vento forte ad ulteriore dimostrazione della grande ammirazione dei martani nei confronti della Madonna del Monte.
Con l'avvicinarsi della fatidica data del 14 maggio a Marta, grazie anche al profumo della fioritura del "maggio" (fiori di ginestra), si intensifica sempre più il sentore dell'avvento della Festa e si iniziano a costruire le Fontane e i Carri (quelli più grandi si iniziano a costruire già due mesi e mezzo prima e del tutto a spese proprie! Inoltre essendo fatti completamente a mano con rose e fiori veri ci vuole anche una buona dose di pazienza). Seguono poi gli addobbi per le vie del paese, il via alla progettazione e alla realizzazione del Portale e l'inizio delle "novene" al Santuario, il tutto circondato dall'eco dei canti.
Arrivati al 13 maggio, vigilia della festa, esordiscono i veri e propri festeggiamenti.
Come da antica e consolidata tradizione, al corteo possono partecipare solo persone di sesso maschile e residenti a Marta (o comunque fortemente legate al borgo lacustre). Non mancano poi tanti bimbi in braccio ai propri papà perché la festa va tramandata di padre in figlio affinché si svolga ogni anno e che rimanga sempre viva la devozione alla Madonna Santissima del Monte.
Nel 2009 la festa della Madonna SS.ma del Monte è stata catalogata nell'ambito del Progetto integrato per il Patrimonio Culturale e Immateriale e la Diversità Culturale PACI.
Tale Progetto si fonda sulla Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 2003) e sulla Convenzione Unesco sulla protezione e promozione delle espressioni della diversità culturale (Parigi, 2005), ratificate dall'Italia nel 2007.
Inoltre rappresenta una delle feste più importanti e famose della Tuscia e del Lazio tanto da essere spesso registrata e trasmessa da varie reti televisive, compresa la Rai.
Contrariamente a quanto si possa pensare questa festa non è di per sé una processione ma un vero e proprio corteo, una festa unica e del tutto particolare, da vedere almeno una volta nella vita.
• Scopri l'origine della festa e perché viene chiamata Barabbata.
- Il 13 maggio, la vigilia -
La festa inizia già la mattina del 13 maggio intorno alle ore 8 con l'apertura della tradizionale fiera di merci sul lungolago; nel tardo pomeriggio si dà il via ai festeggiamenti religiosi con la processione che, alle ore 18 circa, partendo dalla chiesa Collegiata in piazza Umberto I si dirige al santuario della Madonna del Monte, situato ai piedi di un colle che domina tutta Marta, per la celebrazione dei solenni primi Vespri.
La processione, svolta con un regolare ordine, è composta dalla Banda musicale, il Clero, i Signori delle 4 categorie che portano i ceri votivi, le Autorità civili e il popolo che percorrono sempre il consueto tratto di paese partendo da piazza Umberto I, via Roma, attraversando via Verentana e via Madonna del Monte. All'altezza dell'edicola mariana detta "la Madonnella", posta all'inizio della "salita del Monte", il corteo si ferma e viene intonato l'inno "Ave maris stella". Le strofe vengono cantate lungo tutto il percorso intercalando ad esse brevi intermezzi musicali (le "rispostine") e l'inno si concluderà proprio davanti al portone della chiesa con alcuni spari di bombe.
Al termine della funzione dei primi Vespri vengono proclamati i nomi dei Signori della festa e del Tenente dei Casenghi, che sarà Signore della festa nell'anno seguente. Agli stessi Signori vengono consegnati i "trafasci", segni distintivi della signoria. All'uscita dal santuario, sul sagrato, viene poi innalzato un globo aerostatico. Finito il tutto e quando oramai il "pallone" è lontano in alto nel cielo, la banda musicale, le majorettes, il clero e le autorità civili tornano in paese percorrendo via Madonna del Monte, via Tripoli, via della Barchetta, via Amalasunta.
Nel momento in cui il clero rientra nella Collegiata e la banda musicale e le autorità raggiungono piazza Umberto I, il corteo si scioglie.
- Il 14 maggio, il giorno della festa -
La giornata del 14 maggio per tutti gli abitanti di Marta, i devoti e gli interessati alla Festa, è sempre una giornata intensa e piena di appuntamenti che si susseguono.
Si inizia all'aurora quando alle 4 del mattino i Signori della festa hanno appuntamento nella sala consiliare del palazzo comunale dove ricevono dal sindaco di Marta i "palii" delle rispettive categorie. In seguito raggiungono in via Laertina, all'altezza di via Cairoli davanti all'edicola della Madonna di Lourdes, gli altri Passanti già lì radunati; al loro arrivo si compone il Corteo. Apre il tamburino, poi, sulla stessa fila, si predispongono i Signori con i palii a spalla, infine seguono i Passanti disposti in modo informale e non necessariamente schierati in ordine.
Alle ore 4,30 il tamburino dà l'avvio, con il secolare e incessante rullo, al saluto dell'alba e alla sveglia del paese. Dopo alcuni minuti iniziano gli spari di bombe e mortaretti con il coro dei Passanti che invoca la Madonna mentre le campane della Collegiata suonano a festa ininterrottamente.
Il Corteo inizia a muoversi lungo via Laertina mentre i Passanti inneggiano a Maria alternando il grido "Evviva Maria! Sia lodato il Santissimo Sacramento! Evviva la Madonna Santissima del Monte! Evviva Gesù e Maria!" - la frase "Sia lodato il Santissimo Sacramento" è riferita al miracolo eucaristico del 1263 avvenuto nella vicina Bolsena da dove è poi nata la festa del Corpus Domini oggi celebrata in tutto il mondo cristiano - e cantando antichi inni mariani. Il Corteo del tamburino percorre il percorso inverso di quello che sarà poche ore dopo il tragitto della festa, tralasciando la parte sacra; nell'ordine: via Laertina, piazza Umberto I, attraversa il portico sotto il Palazzo comunale, prosegue per via Castello, via Amalasunta, piazza dell'Olmo, sale fino a via Verentana, scende verso piazza S. Pietro, via Bixio e piazza Umberto I con il percorso che si conclude alle 5,30 circa.
Alle ore 6,00 al Santuario della Madonna del Monte il vescovo diocesano celebra la tradizionale S. Messa per gli uomini e i Passanti.
Alle ore 8,30 inizia il raduno dei partecipanti al Corteo sul lungolago G. Marconi da dove partirà la grande processione che salirà al Santuario.
Alle 9,00 la banda musicale con le majorettes da piazza Umberto I accompagna i Signori delle 4 categorie sul lungolago G. Marconi dove inizierà il tanto atteso corteo.
Alle ore 9,15 il Corteo storico inizia a muoversi per raggiungere il santuario della Madonna del Monte. Il lungo e tradizionale percorso dell'ascesa attraversa tutto il paese percorrendo viale G. Marconi, piazzale Martiri di Cefalonia, via Laertina, piazza Umberto I (dove vengono elogiati, da parte dei Passanti, il parroco Don Roberto e il vescovo con il tradizionale grido "Evviva Maria! Sia lodato il SS.mo Sacramento! Evviva la Madonna Santissima del Monte! Evviva Gesù e Maria!" rappresentando uno dei momenti più toccanti della festa), via Nino Bixio, piazza S. Pietro, via Verentana, via Madonna del Monte per giungere infine al Santuario in salita, quando all'arrivo dei primi Passanti verrà sparato un forte botto. È proprio durante la "salita al monte" che la festa raggiunge il suo apice, con la fatica dei Passanti nel trascinare i propri carri fino al Santuario mescolata alla fortissima emozione che si prova.
Successivamente i Passanti con i loro carri si sistemano nell'area retrostante al santuario per consumare il pranzo.
Verso le ore 11,30 non appena il Clero avrà fatto il suo ingresso in chiesa inizia la celebrazione della Santa Messa, al termine della quale avranno inizio le tradizionali "Passate", cioè i tre giri che ogni categoria di Passanti compie all'interno del santuario accompagnate dal continuo rullo del tamburino. Finite le "Passate" il Corteo si ricompone per raggiungere piazza Umberto I.
La benedizione impartita dal parroco Don Roberto ai Passanti, alle ore 14,30 circa dalla finestra del palazzo comunale, segnerà lo scioglimento del Corteo. Tale benedizione è molto sentita e piena di emozioni tra la popolazione di Marta.
Alle ore 17 il rullo del tamburino chiama a raccolta i Casenghi appiedati che, sfilando per le vie del paese e osannando Maria SS.ma, raggiungeranno l'abitazione del Tenente dove consumeranno il tradizionale rinfresco.
A questo punto, dopo il grandioso spettacolo pirotecnico intorno alle ore 22 sulle acque del lago di Bolsena antistanti il paese, la festa è conclusa.
Ogni agosto, oggi non più in programma, veniva premiato il carro più bello dell'anno presso il santuario della Madonna del Monte.
- Svolgimento corteo del 14 maggio -
Per comprendere l’atmosfera di festa che si respira per la Madonna del Monte ci si deve trovare a Marta già dal 13 maggio. A metà pomeriggio le autorità civili, il clero e il popolo ascendono in processione al Santuario per la celebrazione dei tradizionali vespri. Al termine il parroco annuncia i nomi dei “Signori” della festa ai quali compete l’organizzazione della propria categoria e la distribuzione della tradizionale ciambella ai Passanti. Durante la notte tra il 13 e il 14 maggio fervono gli ultimi ritocchi agli addobbi delle “Fontane”, cioè i carri con i prodotti della terra e con i pesci del lago che sfilano nel corteo. Nelle vie del paese echeggiano i tradizionali canti e inni mariani che si concludono con l’esclamazione “Evviva Maria! Sia lodato il SS.mo Sacramento! Evviva la Madonna SS.ma del Monte! Evviva Gesù e Maria!”.
L’alba del 14 maggio viene salutata dal secolare rullo dei tamburi, dagli spari di bombe e mortaretti, dal suono delle campane a festa e dal coro dei mietitori che cantano antichi inni alla Madonna; dietro i tamburi, alle ore 4:30, si forma il tradizionale corteo che vede in prima fila i Signori delle quattro categorie con i labari che li contraddistinguono e il popolo che attraversa il paese cantando e inneggiando a Maria.
Alle 6 del mattino il vescovo diocesano celebra la Messa per i soli partecipanti alle “Passate” presso il Santuario.
Verso le 8,30 i Passanti si radunano sul lungolago Marconi e mentre le campane della Collegiata suonano a festa, il corteo della Madonna del Monte inizia la lunga sfilata (ore 9,15) che lo porterà a raggiungere il Santuario.
Il corteo storico che vediamo sfilare oggi è composto, nell'ordine, da 4 categorie: i Casenghi, i Bifolchi, i Villani e i Pescatori.
Aprono il corteo i Casenghi, che un tempo avevano il compito di sorvegliare le tenute e le case dei proprietari terrieri (potremmo definirli come gli “uomini di fiducia”).
Sfilano a cavallo e sono preceduti dal Signore della categoria che reca un palio azzurro con il monogramma di Maria. Il Palio risale al 1910.
A lui si affianca il Tenente dei Casenghi che sarà il Signore dell’anno seguente e che terrà il tradizionale rinfresco nel pomeriggio della festa.
Indossano un cappello maremmano in feltro nero a larga tesa, scarpe da campagna e gambali, camicia bianca con maniche rimboccate e collo slacciato; in caso di pioggia si proteggono con una giacca di fustagno color grigio antracite; i pantaloni, di foggia comune, sono sorretti da una fascia azzurra legata alla vita.
I Casenghi montano un cavallo di razza locale con sella maremmana. Agganciati alla sella possono portare antichi attrezzi quali: accette, cordame, segoni e pennati.
La seconda categoria è quella dei Bifolchi, coloro che lavoravano e aravano i campi con l’aratro a chiodo trainato dai buoi, simbolo questo ricamato anche sul palio che apre la sfilata della loro categoria. Il loro vestiario è composto da: cappello maremmano come i casenghi, camicia bianca o celeste, pantaloni di fustagno e corpetto dello stesso materiale.
Oltre che con gli animali, muniti di campanacci, i bifolchi sfilano nel corteo con gli attrezzi del loro lavoro: il giogo, la cerrata, la concia, l’aratro, le frocette, le “giunture”. L’asino, che si vede nel corteo, era usato come cavalcatura dal Portaspese che aveva il compito di portare i viveri nei campi durante i lavori agricoli (trebbiatura, mietitura, vendemmia e raccolta delle olive ecc…). Tali viveri erano contenuti nel “vertolone”, le bisacce poggiate in groppa all’animale.
Sottogruppo dei Bifolchi sono i Pastori, differenti per l’abbigliamento perché indossano i cosciali di pelle di pecora o di capra. Sfilano con greggi o su carri allestiti a guisa dell’antica capanna ricoperta di stoppia o “Scopone”, dove si riproduce il lavoro della mungitura, della preparazione della ricotta e del formaggio. Il trattore viene abilmente guarnito con ginestre fiorite, diverse tipologie di fiori, mortella e canne suscitando la sensazione di un ovile.
Segue la categoria dei Villani in apertura della quale è visibile un palio rosso come quello dei Bifolchi sul quale, però, è raffigurato un grappolo d’uva, con pampini verdi, un ramo d’olivo e le spighe del grano, simboli del ciclo di produzione delle colture che accomuna gli agricoltori intenti in ogni tipo di lavoro dei campi.
È una categoria strutturata, al suo interno, in 5 sottocategorie:
i Sementerelli, cioè i seminatori, che indossano un cappello di paglia, fazzoletto a scacchi bianchi e blu legato al collo, camicia bianca, pantaloni di fustagno o di altro tessuto grigio e scarpe da campagna. Portano a tracolla delle grandi bisacce da semina di canapa grezza, dalle quali estraggono e spargono fiori di ginestra, simulando il gesto della semina;
le Vanghe, che portano l’omonimo attrezzo, hanno lo stesso abbigliamento dei Sementerelli, tranne che indossano, in più, un corpetto del colore dei pantaloni e a volte gli schifarotti, specie di ghette in tela o feltro. Sfilano con vanghe e zappe addobbate o guarnite con grano e frutti;
i Mietitori, anche loro con il cappello di paglia, vestono con un camiciotto chiaro, un fazzoletto a scacchi bianchi, rossi e blu, intorno al collo, pantaloni scuri e scarpe da campagna. Portano la "gregna" del grano, la falcetta, la fiasca, i cannelli copridita, il “curriato” o correggiato per battere i covoni;
i Falciatori, con grandi falci da fieno, vestono come i mietitori, ma possono indossare gli schifarotti e il fazzoletto intorno al collo che è a scacchi bianchi e rossi. Portano la fiasca a tracolla e il corno di bue in cui è riposta la cote, utilizzata per rifare il filo alla lama;
le Fontane, le caratteristiche composizioni di diversa dimensione, trainate a ruote o trasportate a spalla, sono così chiamate perché spesso arricchite di zampilli d’acqua. Sono abbellite di fiori e mostrano le primizie del lavoro dei campi, disposte in maniera artistica in composizioni diverse. Raffigurano in miniatura i lavori agricoli o riproducono i cicli dell’olio, del vino e del pane, gli attrezzi e gli utensili dell’agricoltura e della civiltà contadina. I frutti, l’uva e le olive sono spesso conservati freschi sui rami o tralci originari, con l’aiuto di antiche e segrete tecniche.
Sulle Fontane è presente sempre un’immagine della Madonna del Monte o il suo monogramma.
I Pescatori, l’ultima categoria dei lavoratori presente nel corteo, furono ammessi solo a partire dal 1608 e sono preceduti anch'essi dal Signore ma con un palio azzurro su cui è raffigurata una barca sul lago durante la pesca; dietro, come nei palii dei Bifolchi e Villani, è ricamato il monogramma mariano. Indossano maglietta bianca, pantaloni blu legati alla vita con corde o pezzi di rete arrotolati al fondo. Sfilano a testa nuda o indossano baschi, berretti o cappelli flosci e possono calzare stivali o stivaloni di gomma e sfilare scalzi.
I Pescatori portano in offerta i pesci del lago disposti su carri e barche riprodotte in scala trainati a mano o appesi a delle pertiche trasportate a spalla. Attrezzi e reti da pesca di diverso tipo vengono portati dai componenti della categoria, spesso con pesci impigliati all'interno, oppure vengono utilizzati per decorare carri e barche.
Vengono talvolta portate in corteo anche delle vere e proprie barche opportunamente addobbate con gli strumenti della pesca quali reti, “artavelli”, fili ed ami, nonché oggetti come ceste per raccogliere il pescato, lanterne ad olio per vedere di notte sul lago e pignatti usati per cuocere il pesce.
Appena i Pescatori giungono in piazza il corteo si completa con la banda musicale seguiti da due Ceriferi (un tempo quattro) che recano due grandi ceri, simbolo dell’offerta della Comunità e delle categorie alla Madonna del Monte. Seguiranno poi il Clero, le Autorità Civili con il Gonfalone Comunale e il popolo.
Lungo il percorso che dalle rive del lago porta al Santuario, i diversi canti mariani sono cadenzati dal tradizionale inno alla Madonna del Monte in un crescendo di gesti rituali, gioia ed euforia generale.
Quando il Clero giunge davanti alla “Madonnella”, ai piedi della salita che porta al Santuario, si inginocchia ed intona l’Ave Maris Stella che viene cantato alternando ciascuna strofa con un diverso ritornello musicale eseguito dalla Banda mentre si procede verso la chiesa.
Terminata la messa, inizia il rito delle “Passate”, i tre giri che ogni categoria compie entrando dal portone del santuario, percorrendo la navata, per poi uscire dalla porta del convento, dopo aver attraversato l’area sacra del presbiterio.
Sull'altare i Passanti depongono poi un’offerta consistente nei prodotti della terra e del lago e, passando di fronte al sacerdote officiante, si chinano a baciare la “Pace”, un’antica reliquia della Madonna. Al termine del terzo giro ricevono la tradizionale ciambella.
Durante il secondo giro avviene il passaggio delle consegne tra il “Signore” dell’anno in corso e quello dell’anno seguente che, uscendo dal santuario, porterà il vessillo della categoria sino alla piazza dove avverrà la benedizione.
Ultimate le Passate il corteo si riavvia in modo composto verso il paese.
Dopo la discesa dal santuario il corteo percorre via Tripoli fino al “Palazzaccio”, dove i Casenghi ricevono le ciambelle, poi percorre via Verentana, via Amalasunta passando per le stradine del centro storico mentre dalle finestre delle case vengono gettati copiosi petali di ginestra e di rose.
Giunto il corteo in Piazza Umberto I intorno alle ore 14:30, il sacerdote impartisce poco dopo la benedizione ai Passanti da una finestra del palazzo comunale.
Subito dopo il corteo si scioglie e il clamore della festa lascia il posto al silenzio fino a metà pomeriggio, quando il rullo del tamburino chiama a raccolta i Casenghi che, dopo il consueto giro, si recano a casa del Tenente per il tradizionale rinfresco. Infine alle ore 22 i fuochi d'artificio sul lungolago segnano la conclusione della festa.
La Festa delle Passate conserva ancora oggi quei tratti genuini ed incorrotti che la rendono una delle più suggestive e famose del Centro Italia, una festa che non è soggetta a mutamenti di data per scopi turistici, fatta dai martani per i martani in onore della Madonna del Monte, nella quale la popolazione di Marta trova rifugio, conforto e consolazione.
- La storia -
Della festa della Madonna Santissima del Monte non si hanno notizie storiche certe anteriori al 1557 quando da un verbale del Consiglio Comunale di Marta, datato 9 maggio, si evince che era già consolidato "fare la festa secondo il solito dellj annj passatj".
La mancanza di documenti archivistici e l'impossibilità di stabilire una data certa ha portato lo storico viterbese Sansoni a collegarne i riti, per analogia e somiglianza, a quelli delle processioni istituite a Roma da papa Leone IV, nel IX secolo, in occasione dell'Assunzione di Maria.
Tali cerimonie furono riprese in un primo momento dai viterbesi che istituirono una grande processione il 14 agosto in S. Maria Nuova a cui partecipavano il clero con vistosi paramenti, le autorità civili, le corporazioni d'arte e mestieri, con le loro insegne e i cui rappresentanti, a coppia, portavano un cero da una libbra da regalare alla chiesa, e in cui tutti i bifolchi della città, con l'abito buono e il cavallo, preceduti dai musici, andavano in processione e sparavano colpi di pistola; in seconda istanza anche dai martani che essendo vicini a Viterbo e recatisi lì a vedere tale solenne processione, col tempo probabilmente decisero di farne una consimile per la Madonna del Monte.
Certamente sono molti i punti di somiglianza tra le due feste, ma vediamo come si svolgeva quella di Marta durante il 1500 e il 1600, prima, e dopo il 1703.
Dal verbale del 1557 si desume che la festa si celebrasse già in precedenza e che tutte le spese per l'organizzazione fossero a carico della Comunità; il denaro utilizzato per le spese della festa, ratificato dal Consiglio Comunale, serviva per pagare il pasto offerto ai preti ma anche, come risulta da una seduta del 1575, ai soldati, ai magistrati, alla musica, ai bifolchi e ai casenghi come risulta dai Bollettari del Comune del 1658.
Il corteo, inizialmente, era composto da: i soldati a piedi e dal 1674 a cavallo (nei secoli seguenti dai "casenghi") che avevano il compito di controllare il corretto svolgimento del corteo; i bifolchi, coloro che aravano i campi e accudivano il bestiame; dal clero; dalle autorità civili; dalla banda musicale, che il Comune pagherà per secoli facendola venire da paesi limitrofi o anche lontani; dal tamburo, che la comunità stipendiava annualmente e quando non c'era provvedeva a farlo intervenire chiamandolo da fuori; dal popolo.
Nel 1608 anche i pescatori entreranno a pieno titolo a far parte delle categorie di lavoratori ammessi al corteo; il verbale del 2 febbraio di quell'anno riporta: "...che il provento del Macello si venda quanto prima et che si dia a Pescatori le libre 50 di carne come si dà all'altri per honore nella festa (della Madonna del Monte)...", atto questo che sancisce il diritto dei pescatori a partecipare al pranzo consumato sul Monte e come già detto riservato solo ai partecipanti al corteo.
Il pranzo che durò almeno fino al 1685 e che veniva effettuato anche in anni di carestia, aumentava in ricchezza di cibi nel momento in cui a parteciparvi c'era un'autorità, come nel 1594, quando vi prese parte Mario Farnese, o come nel 1608, quando venne in visita a Marta il cardinale Alessandro Farnese.
Il denaro destinato per la festa veniva utilizzato anche per acquistare due palii di stoffa pregiata da regalare ai vincitori dei giochi che venivano fatti dopo pranzo; divertimenti che consistevano in una gara di lotta ed una corsa a piedi. Tali giochi durarono per secoli; nel 1640 venne inserita una corsa di cavalli berberi con il proposito di farne una anche di barche da riservare, però, solo per personalità illustri in visita al paese; nel 1645 verrà addirittura inserito il teatro.
Nel 1613, tra l'indignazione generale, il clero della collegiata non partecipò col Magistrato e il popolo ai Sacri Uffici nella chiesa della Madonna del Monte. L'astensione fu determinata dal fatto che il parroco, non in virtù di un diritto ma di una consuetudine, voleva indossare la "stola", simbolo di giurisdizione all'interno della chiesa, mentre i frati Minimi che reggevano il santuario, esenti per legge canonica dalla suddetta giurisdizione, non volevano permetterlo. La questione fu risolta dalle autorità ecclesiastiche nel 1626 e fu proibito al clero di indossare la "stola".
Durante gli anni delle guerre di Castro, che contrapponevano le famiglie dei Farnese e dei Barberini, la festa fu celebrata nella sola componente religiosa ma dopo il crollo del Ducato di Castro (1649) la festa riprese nelle forme consuete.
Nel 1704 una controversia giuridica sorta tra il vescovo della diocesi, card. Barbarigo di Montefiascone, e i frati Minimi preposti alla custodia del santuario, fa nascere le Passate, cioè i tre giri che i partecipanti al corteo compiono entrando in chiesa con animali e attrezzi da lavoro e attraversando l'area del presbiterio. I Minimi organizzarono così, per provocazione, la festa con processioni e cortei proibiti dall'editto vescovile dell'anno precedente con forte chiasso e disordine, grande consumazione di cibi e bevande e gettiti di fiori di ginestra (il "maggio").
Nella contesa entrarono anche il clero della collegiata, i Magistrati cittadini e il popolo, schierati rispettivamente con i due contendenti. Ma il problema, che apparentemente nasce per un banco priorale collocato inopportunamente nell'area presbiteriale riservata al clero nella chiesa, nasconde malumori annosi legati alla negazione di alcuni diritti che i martani vantavano su alcuni terreni della Mensa Vescovile.
Sarà lo stesso papa Clemente XI a pronunciare la parola definitiva sulla vertenza due anni dopo la morte del cardinale avvenuta nel 1706.
Negli anni successivi le Passate furono proibite dall'autorità ecclesiastica per il disordine e il chiasso che provocavano, poi di nuovo ammesse e sospese. Vennero riprese con modalità più consone al luogo sacro solo nel 1775.
Nei primi decenni dell'800 si stabilizza la netta fisionomia delle 4 categorie e il tradizionale banchetto viene sostituito da una ciambella all'anice lessata e infornata offerta dal "Signore".
Dopo il 1870, con la diffusione di atteggiamenti anticlericali, nel corteo si introdussero gli artigiani: muratori, falegnami, calzolai, fabbri che portavano gli strumenti del loro lavoro.
Durante la Prima Guerra Mondiale le Passate con la relativa processione offertoriale vennero tolte dall'Offertorio della S. Messa e consentite soltanto a rito ultimato e gli artigiani furono eliminati dal corteo perché estranei alla tradizione. Fu ad opera di Mons. Tarquini che la festa fu sempre più ricondotta nello spirito di una cerimonia religiosa.
Estratto da: "Marta. Il Santuario della Madonna del Monte",
in Tesori, Storia e Leggende d'Italia
(Viaggio alla ricerca dei luoghi testimoni di storia,
leggende e aneddoti in Italia),
ed. Historia
(Associazione per la Conservazione
e Divulgazione dei Beni Culturali d'Italia),
Anno VI, n° 25
- Il tamburino -
Figura particolarmente importante e caratterizzante nella dinamica della festa è il tamburino. La documentazione archivistica sin dal sec. XVI ci attesta che non mancò mai nel corteo. Il tamburino risulta essere uno dei “provisionati”, cioè degli “stipendiati” della Comunità e svolgeva diversi compiti nella vita del paese: attirava l’attenzione del popolo prima della lettura di editti e notificazioni, partecipava alle esercitazioni militari, era presente nelle processioni e nelle feste cittadine insieme ai “piffari” e ai “violoni”, etc. Anche nei momenti in cui il Comune era sprovvisto di tale figura si garantì sempre la sua presenza nella festa della Madonna del Monte facendolo intervenire dai paesi limitrofi.
Oggi il suo compito comincia all'alba del 14 maggio quando percorre le vie del paese per dare la “sveglia” a tutti portando l’annuncio del giorno di festa con il suo rullo incessante e caratteristico che costituisce la colonna sonora dell’intera giornata.
A lui è affidato anche il compito, antropologicamente parlando, di “sacralizzare” all'interno del paese lo “spazio della festa”. Infatti il percorso compiuto dal tamburino alle prime luci dell’alba si snoda in senso inverso rispetto a quello che i Passanti effettueranno poche ore dopo per salire al santuario e ritornare al paese.
È questo un modo simbolico per indicare che l’area dell’abitato racchiusa nel perimetro del percorso cessa di essere lo spazio dove si svolge la quotidianità ma diviene il punto focale in cui la Comunità si prepara a vivere l’esperienza straordinaria ed esaltante della festa. Il tamburino lo percorre rullando incessantemente e viene accompagnato dai Palii delle quattro Categorie, dai Signori della festa e dai Passanti.
Il suo rullo continuo raggiunge l’acme durante le Passate, quando accompagna tutte le Categorie nei tre giri rituali attraverso la chiesa. Nel pomeriggio del 14 maggio il tamburino torna a percorrere le vie del paese chiamando a raccolta i Casenghi per accompagnarli alla casa del Tenente dove consumeranno il tradizionale rinfresco.
- La ciambella -
Le tradizionali ciambelle che i Signori della festa distribuiscono ai Passanti della propria categoria sono così preparate: si impastano 4 Kg di farina, alcuni grammi di lievito per il pane, un pugno di anice ammorbidito per una notte in una tazza colma di vino bianco, alcuni grammi di sale. Si aggiunge acqua quanto basta per avere una pasta abbastanza consistente e dura. La pasta così ottenuta viene lavorata a lungo per rendere il composto omogeneo. A questo punto si fanno tante parti di circa un Kg ciascuna. Questa porzione viene stesa fino a formare un cilindro lungo circa 50 cm.
Si dà poi forma di una ciambella e subito dopo la si mette in acqua bollente leggermente salata facendola cuocere fino a quando risale in superficie. A questo punto la si toglie dall'acqua bollente e si pone in acqua fredda per alcuni secondi. Subito dopo si procede all'operazione detta sfriciatura che consiste nel praticare un'apertura lungo tutta la parte interna della ciambella. Quando è ben fredda si inforna e si lascia cuocere una seconda volta.
Terminata la cottura, subito dopo averla estratta dal forno, si cosparge la ciambella con un composto di acqua e zucchero per renderla lucida. Le ciambelle così ottenute (veri Bis-Cotti) si conservano inalterate per lungo tempo, anche per diversi anni. Nel modellare la pasta, oltre alla ciambella semplice vengono composte delle forme più elaborate dall'aspetto altamente decorativo: i cuori, il monogramma mariano, la ciambella con la treccia.
Estratto da Maria Irene Fedeli,
"Marta, guida alla scoperta"
p.86, Tipografia Ambrosini, Annulli Editore,
Acquapendente (VT),
maggio 2007.
- La leggenda della Fornara -
La festa della Madonna del Monte è senza dubbio quella più sentita dai martani e conserva ancora la struttura arcaica dei riti di offerta delle primizie primaverili, innestati in un clima di religiosità popolare.
Di origine pagana, poi cristianizzata, può essere tranquillamente collocata tra i culti che venivano celebrati in onore della dea Maia, divinità della fertilità prettamente laziale, poi sostituita da Cerere, Cibele e Flora, le cui cerimonie, assai più raffinate, concedevano molto di più allo spettacolo ed erano pertanto destinate ad attrarre le masse.
La loro pratica è testimoniata fino all’VIII secolo d.C., quando le cerimonie romane della dea “Regina della Primavera”, che vegliava sul mese dei fiori, vennero soppiantate da quelle in onore della Madonna, “Regina del cielo”.
Per comprovare una devozione che si perde nella notte dei tempi e di cui non si hanno strumenti concreti per avvalorarne l’origine, si ricorre spesso ai miti di fondazione, generalmente leggende, elemento principale delle quali è una “teofania”, cioè la manifestazione del divino che prende contatto con l’umano e che diventa veicolo per esprimere la volontà superiore.
Il santuario della Madonna del Monte di Marta ne ha un chiaro esempio nella “leggenda della Fornara”.
Gli anziani, pur con le varianti che si riscontrano in questi casi, ci hanno tramandato la seguente leggenda.
Narra la tradizione che la figlia di una fornaia recatasi sul monte dove c’era un bosco a fare la legna, ebbe l’apparizione di una bella signora che dolcemente le disse di andare dal parroco e riferirgli che Lei desiderava che su quel monte Le venisse costruita una chiesa.
La ragazza non fu però creduta nonostante per ben tre volte dovette farsi messaggera del desiderio dell’apparizione finché il sacerdote decise, lui stesso, di andare a constatare con i propri occhi.
Veduta lì l’immagine sfavillante di Maria, miracolosamente apparsa su un masso, decise di portarla nella chiesa parrocchiale di Marta e per questo mandò un carro con due buoi sul monte per trasportarla in paese. Dopo aver caricato il masso sul carro, una lunga processione iniziò la discesa verso il paese, ma più i buoi scendevano e più il peso aumentava finché, ai piedi della discesa, gli animali si inginocchiarono e non ci fu modo di farli proseguire. Dopo diversi tentativi, il conducente del carro si accorse che i buoi riuscivano a trainare il carro in salita, ma non ce la facevano a muoverlo di un centimetro in discesa.
A questo punto fu chiaro a tutti che la Madonna voleva restare sul monte e fu lì che venne eretto il santuario; nel luogo dove si inginocchiarono i buoi fu innalzata, invece, un’edicola detta “la Madonnella”, punto questo dove il Clero, nei giorni della festa, quando sale al santuario, intona l’inno dell’Ave Maris Stella.
La leggenda diventa così strumento attraverso cui l’elemento cristiano soppianta quello pagano anche se questo non è del tutto scomparso; alcune ritualità, infatti, seppure “ingabbiate” nella festa cristiana, mantengono forti connotati pagani, per non parlare poi di alcuni simboli della festa che potrebbero celare significati nascosti.
Estratto da: "Marta. Il Santuario della Madonna del Monte",
in Tesori, Storia e Leggende d'Italia
(Viaggio alla ricerca dei luoghi testimoni di storia, leggende e aneddoti in Italia),
ed. Historia (Associazione per la Conservazione
e Divulgazione dei Beni Culturali d'Italia),
Anno VI, n° 25
- Perché si chiama "Barabbata"? -
Parlando della festa della Madonna del Monte è assai diffuso, soprattutto in ambienti non martani, riferirsi ad essa con il nome di Barabbata.
È, indubbiamente, più comodo sia perché è più breve rispetto alle altre denominazioni, sia perché riesce, tra tutte le feste mariane della Tuscia, a connotare inequivocabilmente quella che si svolge a Marta.
In ambiente martano questo vocabolo va diffondendosi soprattutto tra le giovani generazioni mentre viene usato poco, e con particolare disprezzo, dalle persone di età più avanzata.
Si può formulare l'ipotesi che l'accettazione e l'uso di tale vocabolo sia direttamente proporzionale al progressivo dimenticare che, in tempi passati, tale termine veniva usato dai forestieri all'indirizzo dei martani con una forte connotazione di scherno e di derisione.
Un documento del 1783 ci può illuminare: il parroco del limitrofo borgo di Capodimonte, don Bernardino Morotti, in un esposto alla Curia Vescovile, auspicava la cessazione di alcune processioni svolte dalla Compagnia della Misericordia di Marta poiché alcuni confratelli, recandosi a visitare i Sepolcri nella vicina Capodimonte durante la Settimana Santa, avevano dato adito a risse e disordini.
Riportiamo testualmente: "La Barabbata di Marta è l'abuso di certe processioni notturne solite a farsi dai fratelli della Compagnia della Misericordia... con lumi accesi che producevano l'universale derisione particolarmente dei forestieri, che venivano a bella posta per vedere e deridere tali processioni, quasi che i Martani andassero a cercar Barabba".
Il 4 aprile 1783 tali processioni vennero soppresse.
Mons. Liberato Tarquini, parroco di Marta, partendo dal suddetto documento ipotizza che, durante la festa della Madonna del Monte, "incomposte Passate si abbiano meritato il nome di Barabbata, cioè di processione disordinata ... a somiglianza di quella in cui dicevano di andare a cercare Barabba".
Dopo l'Unità d'Italia, con il diffondersi di atteggiamenti anticlericali, il popolo non sentì più il freno della chiesa e la festa della Madonna del Monte registrò il degradarsi della compostezza e l'abbandono ad eccessi e sregolatezze. A questa processione poco composta e degenerata venne dato il nomignolo che richiamava l'altra processione soppressa nel 1783.
Nel 1892 Teodorico Ruspantini, testimone oculare della festa, scrive che questa viene conosciuta "col vocabolo improprio di Barabbata, denominata così per ischerno dalle popolazioni contermini".
Riguardo l'etimologia sono da considerare varie ipotesi.
Paolo Toschi, grande studioso di tradizioni popolari, ipotizza una radice etimologica legata alla figura di Barabba, dato che a Marta si svolgeva una scena di Carnevale dove un uomo che si fingeva Barabba si nascondeva nelle campagne mentre tutti andavano a cercarlo fino a quando non veniva scoperto e fatto prigioniero.
Pericle Perali, Archivista dell'Archivio Segreto Vaticano, attribuisce alla parola un significato mercantile facendola derivare dal vocabolo greco "barà" che significa "carico, merce" e da un termine tedesco ("bata") che indica "prezzo, pegno", sottolineando l'origine mercantile della festa legata alla impressione di fiera, di mercato, di mostra, generata dalla grande esposizione rituale di prodotti della terra, di pesci del lago, di fiori e primizie.
Questa ipotesi, criticata dal Toschi, è stata oggi rivalutata da antropologi che rimarcano il carattere di mercato alla luce di nuove considerazioni sull'origine della festa che appare sempre più legata a riti primaverili dedicati alle dee Feronia e Maia.
Infatti, in concomitanza con le celebrazioni dedicate soprattutto alla prima, aveva luogo una grande fiera.
I martani, comunque, non amano questo nome che richiama atteggiamenti di disordine, chiasso, eccesso, e si impegnano costantemente affinché non abbiano mai più a ripetersi quegli eccessi che nel lontano passato hanno suscitato negli spettatori quell'ilarità e quell'ironia che ben giustificavano il nomignolo di "Barabbata".
Oggi gli abitanti di Marta preferiscono identificare questo loro grande evento come "Festa delle Passate" o, ancor meglio, "Festa della Madonna Santissima del Monte", cercando di rimproverare chi, ancora ai giorni nostri, si ostini a chiamare questa festa con l'appellativo "Barabbata".
Foto festa Madonna del Monte 1989--Foto festa Madonna del Monte 1995
Foto festa Madonna del Monte 1996--Foto festa Madonna del Monte 1993
Foto festa Madonna del Monte 1991--Foto festa Madonna del Monte 1997
Foto festa Madonna del Monte 1970--Foto festa Madonna del Monte 2014--Foto festa Madonna del Monte 2015
Foto festa Madonna del Monte 2016
"Evviva Maria,
sia lodato il Santissimo Sacramento
evviva la Madonna Santissima del Monte
evviva Gesù e Maria!"
(il famoso motto dei partecipanti al corteo durante la festa della Madonna del Monte - 14 maggio)
Il Santuario della Madonna del Monte di Marta (VT)
Interno del Santuario
Chiesa addobbata in occasione della festa del 14 maggio
Il rullo del tamburino alle ore 4,30 del 14 maggio dà l'avvio alla festa
Lancio del pallone aerostatico presso la chiesa della Madonna del Monte durante la vigilia della festa (13 maggio)
Il maggio, termine con il quale i martani indicano i fiori di ginestra, rappresenta un altro importante simbolo della festa e viene tradizionalmente lanciato dalle donne di Marta sui carri dai balconi in segno di ringraziamento verso i propri mariti e parenti.
Con il maggio vengono decorati i carri per la Festa delle Passate (detta anche Festa Madonna del Monte o Barabbata)
Via Madonna del Monte in festa addobbata con le luci (sullo sfondo il Santuario)
Cartello posto all'inizio di Marta
La ciambella ("ciammella" in dialetto martano) della Madonna del Monte, importante simbolo della festa
Foto festa Madonna del Monte 1989--Foto festa Madonna del Monte 1995
Foto festa Madonna del Monte 1996--Foto festa Madonna del Monte 1993
Foto festa Madonna del Monte 1991--Foto festa Madonna del Monte 1997
Foto festa Madonna del Monte 1970
Don Roberto, parroco di Marta
Stendardi delle 4 categorie partecipanti al corteo: Casenghi, Bifolchi, Villani e Pescatori
Fuochi d'artificio sul lago di Bolsena durante la sera
Il corteo si appresta a ricevere la benedizione dal parroco Don Roberto in piazza Umberto I° al termine della festa
Vecchie foto della festa...